15 Guidobaldo del Monte e i nuovi corpi celesti

Alessandro Giostra

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10.34663/9783945561218-16

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Giostra, Alessandro (2013). Guidobaldo del Monte e i nuovi corpi celesti. In: Guidobaldo del Monte (1545–1607): Theory and Practice of the Mathematical Disciplines from Urbino to Europe. Berlin: Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften.

Qui cum audissent regem, abierunt, et ecce stella,

quam viderant in oriente, antecedebat eos,

usque dum veniens staret supra, ubi erat Puer (Mt, 2,9)

In questo lavoro intendo evidenziare un aspetto peculiare dell’attività di ricerca di Guidobaldo del Monte, cioè l’attenzione che ha rivolto alla natura dei nuovi corpi celesti. La comparsa della Supernova di Keplero nell’ottobre 1604 è stata oggetto di un’intensa discussione all’interno della comunità degli scienziati. La sua presenza metteva in crisi l’impianto della cosmologia aristotelica; veniva a cadere, in particolare, il principio dell’incorruttibilità dei cieli, uno dei concetti cardine della scienza tradizionale. Il dibattito riguardante questo evento, inoltre, confermava il ruolo crescente assunto dalle osservazioni e dal calcolo matematico per l’interpretazione dei fenomeni naturali. Erano le rilevazioni strumentali e i conseguenti dati quantitativi, infatti, che indicavano la presenza della nuova stella molto al di sopra della zona elementare. Tra le testimonianze a disposizione, concernenti la comparsa del nuovo corpo celeste, vi è il carteggio di del Monte con l’allievo ed amico Pier Matteo Giordani (1556–1636), contenente elementi molto rilevanti dal punto di vista storico e che ho già trattato in altra sede (Giostra 2003). È bene ricordare che la comparsa della nuova stella è stato il motivo di uno degli ultimi contatti tra del Monte e Galileo Galilei. Quest’ultimo, in data 2 febbraio 1606, aveva inviato a del Monte, come ringraziamento per i favori concessi, un lavoro che aveva genericamente intitolato Considerazione Astronomica, incentrato proprio sulla stella di Keplero. Secondo lo storico Stillman Drake (1910–1993), Galilei avrebbe successivamente rielaborato questo scritto e lo avrebbe pubblicato, usando lo pseudonimo di Alimberto Mauri (Mauri 1606) in risposta ad un’opera del suo oppositore Ludovico delle Colombe (1565–1615ca).1

La lettera con la quale Galilei aveva inviato un primo abbozzo di quel lavoro a del Monte, dunque, viene considerata da Drake come una prova della paternità galileiana di quell’opera.2

Per quanto riguarda le informazioni sulla vita di Pier Matteo Giordani, è noto come il suo studio fosse rivolto alle stesse tematiche investigate dal suo maestro e corrispondente. Si evince, soprattutto dal suo carteggio, come abbia seguito attivamente gli sviluppi della scienza del suo tempo e come abbia approfondito i contenuti dei lavori dello stesso del Monte.3 Tra i documenti a disposizione, relativi a questo personaggio, spicca una lettera del 2 settembre 1622 inviatagli dallo scienziato urbinate Muzio Oddi (1569–1639), nella quale veniva attribuita a del Monte la realizzazione del compasso polimetro, un merito del quale Galilei si sarebbe successivamente appropriato (Galilei 1968, vol. XIV, 97).

Sempre al 1604 risale un manoscritto di del Monte, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana,4 nel quale il marchese ha espresso la propria interpretazione riguardante la “Stella” di Betlemme, basandosi sul racconto evangelico e sul pensiero dei Padri della Chiesa.

Nella prima parte di questo lavoro ho illustrato i concetti principali dello scambio epistolare tra del Monte e Giordani; nella seconda parte, ho spiegato i contenuti del manoscritto in questione. Nelle conclusioni, infine, ho individuato una visione di base, comune a questi documenti, e riconducibile all’adesione di Guidobaldo al modello cosmologico di origine aristotelica.

15.1 Il carteggio con Pier Matteo Giordani

La corrispondenza tra del Monte e il Giordani riguardante la nuova stella è contenuta nel fascicolo XVI del ms. 426 della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, insieme ad altri documenti del carteggio di Guidobaldo, ed è stata edita da Gino Arrighi (Arrighi 1965). Tale scambio epistolare, svoltosi tra il 23 novembre 1604 ed il 21 gennaio 1605, si inserisce a pieno titolo tra le testimonianze più significative concernenti il dibattito astronomico incentrato sul nuovo corpo celeste.

Particolare importanza riveste l’affermazione posta da del Monte all’inizio della prima di queste missive: “Questa stella o cometa darà da dire assai” (Arrighi 1965, 195). Egli si rendeva conto di come tale discussione implicasse i fondamenti principali della scienza del cielo e, pertanto, avrebbe diviso la comunità degli astronomi. Guidobaldo, in ogni caso, aderiva alla seconda possibilità: “Prima voglio ringratiar V.S. delle belle cose, che mi ha mandato sopra questa cometa la qual’ ogn’un grida stella.”5 Pur riconoscendo che i risultati matematici, in particolare quelli inerenti all’invariabilità della parallasse, collocavano questo corpo celeste “infra le fiamme ardenti,”6 del Monte confidava nell’impostazione generale di origine aristotelica. Egli preferiva, pertanto, aderire all’ipotesi che si trattasse di una cometa che la cosmologia aristotelica aveva definito come un fenomeno sublunare:7

Io poi credo, che per apparer questa cometa a tutti in un luogo che così non ha la diversità dell’aspetto, e non avendo moto particolare, credo dico, che questa sia la maggior ragione, che habbino questi Astrologi, a fargli credere, che questa sia stella et veramente è un gran ragione, ma sebene io non la so solvere tutta via non m’acquieto, et credo, che ella sia cometa (Arrighi 1965, 195).

In questo modo del Monte confermava l’impostazione generale aristotelica, secondo la quale la matematica rappresentava una forma di sapere perfetto ma il cui ruolo era confinato nell’ambito descrittivo; le figure geometriche, nell’accezione aristotelica, derivavano per astrazione dall’osservazione degli oggetti naturali. Alla base di questa filosofia naturale vi era il principio di una finalità interna ai corpi in grado di determinarne il comportamento fisico; non era possibile, pertanto, utilizzare il calcolo matematico per stabilire conclusioni intorno alla “Physis” o cambiarne quelle caratteristiche da sempre ritenute esatte.8 Tra quei pensatori che affermavano l’estraneità del calcolo matematico, se riferito a questioni di filosofia naturale, si ricorda il filosofo padovano Cesare Cremonini (1550–1631):

Per quanto riguarda la posizione, la Terra è situata al centro; in quanto al suo movimento, è ferma. A noi è stato sufficiente, per la nostra riflessione filosofica, leggere le affermazioni di Aristotele. Abbiamo saputo di novità celesti di alcuni contemporanei, dalle quali dobbiamo astenerci, poiché fanno parte di un’altra disciplina.9

La fiducia nell’osservazione e nel calcolo avrebbe intaccato un fondamento essenziale della cosmologia di Aristotele, cioè l’incorruttibilità dei cieli, collegata al loro moto circolare perfetto, di contro al moto rettilineo che, nell’accezione aristotelica, caratterizzava i fenomeni della zona elementare:

Et i mathematici si accordaranno presto fra loro a chiamarla stella. Ma non sapranno però rispondere alle ragioni dei filosofi, che‘l Cielo sia incorruttibile, et non patischi queste novità (Arrighi 1965, 195).

Per del Monte, dunque, sarebbe stato un errore fermarsi all’evidenza matematica ed accettare che “tutti si riducano a quella sola ragion della parallasse, et del moto” (Arrighi 1965, 196). Da queste lettere si nota come egli ritenesse la soluzione matematica eccessivamente riduzionista per poter stabilire la natura del nuovo fenomeno celeste:

Questi poi, che vogliono, che ella sia stella, lo dicano per salvar facilmente, et senza difficultà le difficultà, perché è facil cosa a dire, che‘l Cielo sia corruttibile, ma che‘l sia, questa ripugna a tutta la filosofia et bisognaria trovar altri principij.10

L’incertezza di del Monte di fronte ad un evento celeste in grado di mettere in crisi l’impostazione tradizionale può essere rappresentata con le parole del linceo Federico Cesi (1585–1630) che in una lettera all’olandese Jan Van Heeck (1576–1618ca), riferendosi ai sostenitori della cosmologia aristotelica, aveva affermato: “magno pelago obruti videntur.”11 In aggiunta alle ragioni dei matematici, anche l’osservazione empirica rendeva questo fenomeno del tutto simile alle altre stelle, in particolare a causa della sua scintillazione, unanimemente rilevata dagli astronomi del tempo. Del Monte, animato dal desiderio di preservare la cosmologia della tradizione, fa notare come la sua scintillazione fosse del tutto eccezionale, al punto da ritenere che fosse da attribuire più ad un corpo di natura ignea, quindi elementare, piuttosto che ad una vera stella:

Io vedevo, che ella scintillava tanto forte, che non ho mai veduto stella scintillar tanto, et quasi non in quel modo, che veramente pareva, che fusse fuoco, et non stella (Arrighi 1965, 194).

Anche l’evidenza della scintillazione, dunque, non rappresentava per del Monte un argomento sufficiente per attribuire alla Nova le caratteristiche delle altre stelle fisse12 e queste ultime parole ribadiscono la necessità di salvaguardare la tradizione. Il marchese di Mombaroccio dichiarava anche l’esigenza di conoscere pareri di altri studiosi che confermassero le sue posizioni:

Se io potessi haver queste osservationi fatte in diversi luoghi, mi chiarirei, di una opinione, che mi va così per la fantasia, per salvar che ella sia cometa, et non stella, che io non posso acconsentire, che persone dotte alla prima vogliono tener il cielo corruttibile per poter dir che ella sia una stella.13

Da questo scambio epistolare emerge anche la difficoltà di osservazione e calcolo del nuovo astro, posto in posizione bassa sull’orizzonte, perciò visibile per poco tempo di sera:

Io la osservai una sera ma volevo verificare l’osservatione un’altra sera ma sono venuti tanti offuscamenti nell’aria, che non l’ho potuto fare, anzi che sono molte sere che non l’ho più veduta. Che per i monti ancora, com’è passat’un’hora di notte, non si può più vedere (Arrighi 1965, 193).

L’osservazione della nuova stella, per Guidobaldo, era parzialmente impedita dalla presenza del “Monte dei Frati” davanti alla sua residenza di Mombaroccio. Un altro problema era dovuto all’eccessiva vicinanza al Sole che ne aveva impedito l’osservazione per diversi giorni:

Quando poi si schiarì l’aria, il sole l’haveva giunta, con il splendore, che non si vedeva più. Bisognarà star a vedere se qua verso mezzo Gennaro la si vedesse la mattina […] se però la cometa starà nel medesimo luogo (Arrighi 1965, 194).

Dall’insieme dei testi a disposizione si ricavano le coordinate di questo nuovo corpo celeste che mediamente si collocavano intorno a 17,5° di longitudine e 1,5° di latitudine boreale. L’impossibilità di compiere misurazioni in condizioni ottimali fu lamentata da del Monte in queste lettere. Inizialmente, infatti, aveva comunicato al suo interlocutore le sue rilevazioni, del tutto discordanti da quelle degli altri astronomi per ciò che riguarda il valore della latitudine:

Io l’osservai alli undici di Novembre passato, et trovai, che ella era in 18½ di Sagittario, et la sua latitudine era gradi 12, et min. 15, ma questo V.S. non ne faccia parte a nissuno, per non haverla io potuto più osservare, per veder se ella apparierà sempre nel medesimo luogo.14

L’incertezza relativa a questo fenomeno aveva spinto del Monte a tentare di conoscere le osservazioni di Cristoforo Clavio (1538–1612), grazie alla mediazione di Homero Tortora, un personaggio che i due interlocutori conoscevano:

Io vorrei, che si dessero fuori le osservationi, come io le scrissi nell’ altra mia. Et potria scrivere al s.r Homero, che si facci dar l’osservatione, che ha fatto il padre Clavio, con pregarlo, che‘l veda d’haver d’Alemagna le osservationi, che haveranno fatte là, massime da quello, che adesso osserva di nuovo ogni cosa, che non mi ricordo il nome, acciò si possi chiarire dalla diversità dell’aspetto molte cose (Arrighi 1965, 193).

Tortora eseguì quanto gli venne richiesto e il 24 novembre 1604 comunicò a Giordani l’opinione del matematico gesuita:

Il p.re Clavio tiene, che sia nuova stella, come fu tenuta da alcuni quella di Cassiopea, et dice di essersi seco confrontato uno di Cosenza, et haver di molti che concorrono in questa opinione avendo misurato ch’ella si trovi con le stelle fisse, et così tenere che il cielo sia corruttibile, altri si burlano di questa opinione, et s’aspettano di sentire quelle de gli Alemanni, Inglesi, Spagnoli, et levantini (Gamba and Montebelli 1988, 51).

Da parte sua, Clavio confermò questa sua posizione in altre missive a noti scienziati del tempo.15 Del Monte riuscì anche ad ottenere i valori provenienti “d’Alemagna” che inviò al Giordani il 6 dicembre 1604:

Osservatione di Praga

la lunghezza gr. 17 m. 45 e 2 10.

la larghezza gr. 1 m. 35 2 39 septent.

Dista dal capo del Serpentario gr. 34 m. 2

Dista dalla spalla sinistra del med.o gr. 19 m. 54

Dista dal sinistro ginocchio del serpentario gr. 16 m. 52 e di color gioviale (Arrighi 1965, 194).

Nessun dubbio sorge in merito all’identificazione di questo astronomo praghese. Si tratta del genero di Tycho Brahe (1546–1601), Franz Gansneb Tengnagel (+ 1622). L’indizio essenziale per questo riconoscimento proviene dal De Stella Nova in Pede Serpentarii di Keplero, in un passo nel quale vengono riportate le misure ottenute da Tengnagel:

Die 11/21. Octobris in viridario Caesaris, ubi deposita habebantur instrumenta Braheana, observavit Tengnaglius gener Tychonis cum studiosis, me praesente, ista:

Inter Novam et

Jovem......4.7 . ego solus

Caput Ophiuchi..34.2 .

Humerum Sagittarij 19.54.

Sinistrum genu Serp. 16.52.

Inter Martem et

Humerum Sagittarij 30.30 .

Sinistrum genu Serp. 27.36.16

E’ palese la corrispondenza delle misurazioni nonostante qualche differenza. Keplero, ad esempio, non aveva riportato i valori di longitudine e latitudine mentre del Monte non aveva considerato la distanza della nuova stella da Marte e da Giove. Del Monte, inoltre, aveva commesso un banale errore al momento in cui ha indicato il valore della distanza della stella dalla spalla sinistra del Serpentario, invece che dalla spalla sinistra del Sagittario. Le parole di Guidobaldo sono attendibili dal punto di vista storico poiché, dopo la morte del Brahe, Tengnagel, in opposizione proprio a Keplero, aveva tentato in tutti i modi di impossessarsi degli strumenti e dei calcoli lasciati dal maestro, divenendo così quello che “adesso osserva di nuovo ogni cosa” (Arrighi 1965, 193).

In questo carteggio si trova anche qualche riferimento al significato astrologico del nuovo corpo celeste: “Et se a Bologna tengano che significhi augumento di religione, in Rimini ci è un frate Astrologo, che tiene il contrario, cio è che significhi detrimento di religione.”17 Mentre risulta di difficile individuazione l’astrologo bolognese, con un buon grado di certezza si può indicare quello di Rimini in Casamatta Faentino, autore di un trattato di astrologia nel quale aveva preannunciato esiti legati alla nuova stella.18 Difficilmente Guidobaldo poteva condividere i pronostici dell’astrologo riminese che esplicitamente aveva negato la possibilità che potesse trattarsi di una cometa. Casamatta, dopo aver brevemente descritto le caratteristiche fisiche del nuovo corpo celeste ed aver indicato la ragione della sua presenza vicino alla congiunzione di Giove e Marte,19 ne aveva esaminato le conseguenze facendo una distinzione tra gli esiti previsti per i popoli occidentali e quelli per i popoli orientali. Casamatta, innanzitutto, si era basato sul pensiero aristotelico per prevedere la siccità come esito della presenza di “nuovi lumi.”20 Le considerazioni di Lorenzini che connette la siccità con la presenza della nuova stella si trovano nei capp. 9 e 11 della sua opera. Le altre conseguenze per i popoli occidentali, predette dal riminese, erano dovute all’influenza planetaria alla quale era soggetta la nuova stella: “morte di nobili, e di Principi; per essere simile alla forma di Giove, guerre per causa di Marte, venti e terremotti per causa di Mercurio Signore del Termine.”21 La presenza di Giove, soprattutto, insieme a qualche effetto positivo come “venti salutari, e fecondi,”22 avrebbe causato anche “discordia fra nobili, prigionie di popoli, abscissione, et infirmità secche.”23 Come si evince dal testo della lettera, del Monte non possedeva quest’opera del Casamatta. In essa, infatti, non si parla esplicitamente di esiti nel campo religioso ma di conseguenze negative generali. Probabilmente del Monte aveva acquisito da altri qualche informazione relativa al trattato dell’astrologo riminese.24

15.2 De Stella Magorum

La lettura del manoscritto di Guidobaldo conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana presenta diverse difficoltà, soprattutto per il pessimo stato di conservazione di alcune sue parti che risultano del tutto illegibili. Si nota, inoltre, una successione non sempre bene articolata degli argomenti espressi. Queste caratteristiche, tipiche di molti manoscritti, denotano una stesura frettolosa ed il fatto che, in caso di pubblicazione, questo lavoro sarebbe stato rivisto dal suo autore.25

In diversi punti del testo del Monte afferma come molti siano gli interrogativi concernenti la stella di Betlemme e le opinioni in merito alle sue caratteristiche essenziali:

Multae de Magorum stella quaestiones quaeri possunt, nempe qualis fuerit, quando primum visa: ubi, quomodo ex ea natum esse Christum Magi cognoverint.26

Il suo scopo, tuttavia, è quello di volerne discutere l’esatta natura basandosi su poche ed essenziali considerazioni: “Ac de ea tantum qualis fuerit, aliqua breviter attingemus.”27 La difficoltà di tale compito, comunque, lo induce a manifestare l’impossibilità di poter stabilire conclusioni certe, anche di fronte alla diversità dei pareri espressi: “Quid autem fuerit haec apparitio stellae inter scriptores magna dissensio est.”28 Tale differenza di interpretazioni, inoltre, sarebbe giustificata proprio dal testo evangelico (Mt 2, 1–11), secondo il quale sembrerebbe trattarsi di un fenomeno non molto evidente. La stella di Betlemme, infatti, sarebbe stata riconosciuta solo da astronomi esperti come i Magi ed avrebbe provocato lo stupore di Erode. La consapevolezza della varietà di opinioni spinge del Monte a trattare le più significative tra esse, iniziando da quella di Gregorio di Nissa (335–395ca), secondo cui doveva trattarsi di un reale corpo celeste, genericamente definito “stella,” disceso dal cielo per volontà divina affinché i Magi potessero adorare Cristo:

Cum itaque diversae sint opiniones, nonnulli inter quos Gregorius Nisenus hanc fuisse veram stellam, unam de numero ceterarum existimarunt, quae quidem ut Magi obsequium praestare possent e caelo descenderit.29

Alcune obiezioni all’ipotesi di un vero corpo celeste erano fondate sull’impossibilità che lo stesso, data la sua distanza, avesse potuto guidare il cammino dei Magi. Del Monte sottolinea come Gregorio, invece, proprio per la ragione della distanza, avesse creduto in una discesa di un corpo celeste: “Quam difficultatem Gregorius animadvertens stellam in caelo non existere sed descendisse credidit, ut suo fungeretur officio.”30 Sempre dal pensiero dei Padri, del Monte attinge un’ulteriore possibile spiegazione che nega la precedente:

Alii vero ac fere omnes, ut Crysostomus, Basilius, Ambrosius, Augustinus, et alii hanc non veram stellam, sed stellae similitudinem fuisse putarunt: idque multis argumentis probare conantur: nam si haec stella fuisset in caelo tunc Magis viam monstrare non potuisset et hoc fortasse propter maximam stellarum a terra distantiam.31

Agostino di Ippona, per esempio, non aveva dubbi sul fatto che quella di Betlemme non potesse essere una stella da sempre esistita. Nel Sermo 201.1 ne parla, sempre nell’ottica di un miracolo e contro le predizioni astrologiche, come di qualcosa che andava al di là delle caratteristiche usuali dei corpi celesti:

Haec stella vanas computationes astrologorum divinationesque confudit, cum stellarum adoratoribus Creatorem coeli et terrae adorandum potius demonstravit […] Quid erat illa stella, quae nec unquam antea inter sidera apparuit, nec postea demonstranda permansit?32

L’affermazione più esplicita del santo di Ippona è quella contenuta nel Contra Faustum:

Proinde non ex illis erat haec stellis, quae ab initio creaturae itinerum suorum ordinem sub Creatoris lege custodiunt […] Si autem, ut probabilius creditur, ad demonstrandum Christum, quae non erat exorta est; non ideo Christus natus est quia illa exstitit, sed ideo illa exstitit quia Christus natus est.33

Del Monte riporta le ragioni per le quali i Padri da lui citati non avevano aderito alla possibilità che fosse una vera stella. Queste motivazioni sono tratte direttamente dalla descrizione dell’evento offerta dal Vangelo di Matteo 2, 1–11:

Praeterea, ut hanc non fuisse veram stellam ostendant alias in medium afferunt rationes. Quod haec numquam antea, neque poscia visa fuerit quod non solum noctu, verum etiam interdiu luxerit. Quod aliquando sese occultaverit dum scilicet Magi Ierosolymam intraverunt. Quod rursus apparuerit dum in Betlehem proficiscerentur. Quod steterit supra ubi erat Dominus.34

La trattazione offerta in questo manoscritto, tuttavia, rimane sempre nell’ambito della probabilità e non della certezza: “Quae quidem rationes valde probabiles sunt; necessaria tamen argumenta non existunt.”35 A questo punto, per mostrare che l’onnipotenza divina avrebbe potuto anche agire diversamente, del Monte fa riferimento, senza citare direttamente i versetti, ad alcuni noti episodi biblici che descrivono interventi straordinari di Dio per alterare il naturale corso di alcuni fenomeni astronomici. L’arresto del Sole nel libro di Giosuè (Gs 10,12–14), l’arretramento della sua ombra sulla meridiana di Acaz dietro richiesta di Isaia (2 Re 20, 10–11) e l’oscuramento del corpo solare al momento della morte di Cristo (Mt 27,45; Mc 15,33; Lc 23,44), sono tutti esempi per affermare come l’onnipotenza divina avrebbe potuto anche fare in modo che si trattasse di una vera stella con speciali caratteristiche:

Nam Deus, qui aliquando fecerat ut Sol staret, aliquando vero ut retro reverteretur, aliquando ut lumen amitteret, facere quoque potuisset ut vera stella suo naturali cursu relicto […] omnia praeter naturam suam quoque praestaret.36

Nonostante quest’ultima possibilità, tuttavia, del Monte aderisce alla teoria dei Padri precedentemente citati, il cui parere viene ritenuto da lui non assolutamente trascurabile, essendo una questione strettamente legata alla teologia e che sfugge ad una precisa interpretazione alla luce della filosofia naturale: “Attamen haec posterior sententia tamquam rationi magis consentanea amplectenda videtur; quippe quae […] Patrum […] auctoritate roboratur.”37 Guidobaldo avanza un’altra considerazione, di carattere maggiormente matematico, per obiettare che potesse trattarsi di un vero corpo celeste; la sua eccessiva grandezza, infatti, rende questa ipotesi non accettabile, anche perché non avrebbe potuto in alcun modo indicare la strada che conduceva al luogo nel quale si trovava Cristo:

Nam si vera stella e caelo descenderet, propter immensam stellae molem, totam terram occupare videretur: atque ad peculiare iter ostendendum propter eius magnitudinem inutilis […].38

Anche in questo caso, come già fatto per le considerazioni precedenti, del Monte non esclude che la volontà divina potrebbe essere intervenuta per modificare le dimensioni di una vera stella o per fare in modo che le sue dimensioni apparissero piccole agli osservatori. Ciò che lo porta ad escludere tale possibilità, comunque, è la sua concezione dei miracoli che avverrebbero solo in casi eccezionali e che non dovrebbero essere riconosciuti come tali a meno che non esistano altre possibili spiegazioni:

Nisi Deus an maxime parvula, sive ut oculis parva apparuerit fixisset. Deus vero miracula absque necessitate facere non solet, neque nobis nisi probantur pro miraculis sunt retinenda.39

Del Monte, dunque, concorda con l’impostazione della maggior parte dei Padri da lui menzionati e, sempre consapevole dell’impossibilità di conseguire una certezza assoluta, si schiera con coloro che non credevano si trattasse di un vero corpo celeste. Secondo la sua opinione, è stata la somiglianza con un corpo celeste ad indurre l’evangelista a definirlo in quel modo:

Credibile igitur est hanc non fuisse veram stellam, sed apparentiam, cum stellae similitudo esse potuerit, et ad ostendendam Magis viam satis fuerit quamvis hoc quoque non sit sine miraculo factum. Evangelista itaque hanc stellam non veram sed apparentiam, ac propter similitudinem non propter veritatem appellavit.40

In questo caso del Monte esprime un concetto molto simile a quello di Giovanni Crisostomo (350–407ca) e dopo aver elencato le stesse ragioni per escludere la possibilità che fosse vera stella, parla di un’apparenza dovuta alla volontà dell’intelletto divino.41 La scelta dell’Evangelista di chiamarla “stella” si deve allo stesso motivo per il quale nel linguaggio ordinario qualsiasi fenomeno luminoso in aria viene comunemente identificato allo stesso modo; il passo in questione contiene un chiaro riferimento ai Meteorologica di Aristotele:

Quotidie nos quoque huiusmodi apparentias quamvis verae stellae non sint stellas tamen vocamus, ut crinitas, easque precipue quae sunt absque cauda.42

L’incertezza e la già citata diversità di opinioni,43 fanno in modo che del Monte torni a valutare altri pareri espressi che, come si vedrà nel prosieguo, non incontrano il suo favore. Innanzitutto riporta quello di chi ha creduto trattarsi dello Spirito Santo che, disceso dal cielo sotto forma di colomba in occasione del battesimo di Cristo (Mc 1,10; Mt 3,16; Lc 3,22), allo stesso modo sarebbe disceso sotto forma di corpo celeste:

Etenim Spiritum Sanctum fuisse nonnulli putarunt, ut qui columbae specie post Baptismum ad demonstrandum Christum descenderit, ita nunc quoque ad eundem ostendendum stellae specie similiter descenderit.44

A questa interpretazione segue quella di chi si fonda sul testo dell’Apocalisse (Ap 1,20) per sostenere che fosse un angelo con le sembianze di una stella: “Alii vero Angelus fuisse dixerunt, qui stellae speciem induerit: cum Angelos appellari stellas in Apocalipsi manifestum sit.”45 Tra le varie teorie citate e non condivise, quella da ritenere più accettabile, secondo del Monte, identifica il fenomeno con una cometa. Alla base di questa scelta da parte di Guidobaldo vi sono la sua concezione della rarità del miracolo e la conseguente preferenza per una spiegazione naturale:

Plerique viri alii cometam fuisse crediderunt. Quam quidem postremam sententiam alii probabilem esse existimarunt: non enim sunt absque necessitate multiplicanda miracula.46

Questa visione del miracolo, sempre secondo il marchese, sarebbe stata adottata anche dall’evangelista Matteo che avrebbe chiamato quel corpo celeste “stella” in base ad una sorta di principio di accomodazione o, quantomeno, di uso del linguaggio comune:

Quare cum eam Evangelista stellam nominat […] est, ut et nos quoque eam esse stellam affirmamus, ac de numero earum quae in aere gignuntur.47

Il miracolo della stella, dunque, consiste innanzitutto nell’aver annunciato la natività; a questo fine sarebbe stato subordinato il suo moto, del tutto diverso da quello delle altre stelle: “Huius vero stellae miraculum in nutu esistit, quae praeter naturam aliarum huiusmodi stellarum moveri visa est.”48 In questo caso, anche del Monte si fonda sul linguaggio comune ed usa in maniera generica il termine “stella,” per indicare un corpo in movimento. Allo stesso modo, dunque, avrebbe ragionato l’evangelista Matteo (Mt 2,2):

Hac fortasse ratione moti quia Evangelista inquit: “Vidimus enim stella eius: […] cum stellam nominet, […] stella quoque fuerit non dubitandum.”49

Nel De Stella Magorum non viene fatto alcun cenno ad un eventuale pianeta o ad una congiunzione planetaria, con quest’ultima che sembrerebbe al giorno d’oggi l’ipotesi più accreditata.50 Del Monte senz’altro esclude che i Magi, con tutta probabilità astrologi di origine zoroastriana, abbiano voluto seguire qualche stella fissa nel suo percorso che segue quello della volta celeste più esterna. Nelle parole che seguono, il marchese illustra la specificità del fenomeno e del miracolo divino: si trattò di un corpo in movimento, posto nelle vicinanze della Terra, molto più vicino rispetto alle comete che si collocano nella parte più alta della zona elementare. Non può essere giudicato come un fenomeno temporaneo, alla pari di quelli ai quali ha già accennato,51 poiché differisce da questi ultimi per non aver perso la luminosità:

Deinde in propinquitate terrae ab aliis differre non sine miraculo est: quod quamvis multa iuxta terram ignea apparere […] sint. […] post apparitionem […] Cometae vero quia diu durant non nisi in suprema aeris regione generantur; quam quidem omnia in aethereis perspicua sunt. Quod si haec stella in suprema regione aeris extitisset tam longe a terra distare visa fuisset, ut numquam iter, nec ubi erat puer ostendere potuisset. Praeterea quia interdiu lumen non amiserit absque miraculo fortasse non fuit.52

In quest’ultimo passo si nota un ritorno al contenuto dei Meteorologica I 344a 10 ss, per quanto riguarda i fenomeni atmosferici e la teoria delle comete. Vi è anche un indizio che, oltre a richiamare la tendenza all’uso del linguaggio comune, si collega al contenuto del suo carteggio con il Giordani. Tornando ad esprimere una considerazione di tipo matematico, infatti, del Monte afferma che certi fenomeni, con implicito riferimento soprattutto alle comete, sono osservati nei cieli (“omnia in aethereis perspicua sunt”).

Il fine dell’annuncio della Natività, per del Monte, fa sì che le caratteristiche della stella di Betlemme non possano essere assimilate a quelle degli altri corpi celesti e ciò viene espresso nella parte del testo più difficile da decifrare. Dalle parole comprensibili si evince, tuttavia, l’adesione teologica ai dettami del cristianesimo e, in particolare, all’interpretazione dei Padri. Si nota, innanzitutto, il rifiuto dell’astrologia divinatrice al momento in cui si esclude che la stella possa aver causato la nascita del Signore, essendo quest’ultimo evento antecedente alla sua apparizione. Si nota, in questa e in altre sezioni del manoscritto, l’influenza dell’idea agostiniana, sovente espressa nei Sermones, di una manifestazione ai Magi che indicherebbe, in realtà, una più generale Rivelazione ai pagani. Come afferma Giovanni Crisostomo, non si trattava di “semplici stranieri, ma quelli che erano i più sapienti tra loro.”53 Siamo in presenza, infatti, di una descrizione di un’apparenza, dotata di uno splendore eccezionale al punto da essere visibile anche di giorno. Questo evento, implicante l’intervento diretto divino ed osservato in “infima aeris regione,” rappresenta uno stravolgimento degli assunti di base della cosmologia di origine aristotelica:

Cum igitur […] Domini stella […] apparitionem: quam quidem Dominum non nasciturum sed iam natum erat […], cum Magi dixerint: Ubi est qui natus est Rex Iudeorum quis […], quae oculis stellae […], splendidissimam speciosissimam, ac multo […] quam Venus, dum in […] magis distans […] vicinum […] praenuntiat fuisseque hanc stellam in infima aeris regione, ut Dei nutu iter Magis ostendere possit.54

Tra gli astronomi dell’era moderna che si sono occupati della stella di Betlemme, Tycho Brahe arrivò a conclusioni analoghe a quelle di del Monte. Anche nel testo dei Proginasmi, come veniva comunemente chiamata quest’opera dagli astronomi italiani, si notano l’ispirazione ai testi dei Padri, l’insolito comportamento naturale, l’impossibilità di paragonarla alla Nova del 1572, la finalità della manifestazione ai Magi, il rifiuto dell’astrologia divinatrice. Questi furono, anche per l’astronomo danese, gli elementi essenziali della sua interpretazione, volta ad affermare l’intervento diretto di Dio.55 Le caratteristiche della stella, pertanto, sono state predisposte da Dio per guidare i Magi, gli unici ad averla vista, verso la grotta di Betlemme. All’interno dei testi patristici una delle affermazioni più forti che collega la Stella di Betlemme al volere di Dio è quella di Sant’Ambrogio (339–397) che, citando il libro dei Numeri 24,17, dichiara come si trattasse solo di una mera manifestazione della volontà divina. La stella indicava la via verso Cristo e ne manifestava in pieno la luce.56 Del Monte conclude questo scritto con la descrizione del suo movimento, riprendendo qualche particolare dal versetto evangelico di Mt 2,9:

Ita ut modo recta, modo dextrorsum, vel sinistrorsum incederet prout itineris opportunitas expostulabat: deinde aliquando gradum sistitit, ut Magi quiescerent: rursusque similiter progrederetur: poscia occultavit se, dum Magi Ierosolymis permaserunt: illisque dum iter in Betlehem aggrederentur maximo gaudio rursus appareret; at denique ubi erat puer Dominus noster Iesus Christus staret tamquam officio perfuncta suo.57

I contenuti del De Stella Magorum denotano l’adesione di del Monte all’interpretazione data al racconto della stella di Betlemme da parte di alcuni Padri e palesano una precisa concezione del miracolo per ciò che concerne i fenomeni naturali. Un miracolo dunque non dubitabile, ma che allo stesso tempo non avrebbe sconvolto l’ordine naturale. Non si tratta per del Monte di una vera nuova stella oppure, come pensava Gregorio di Nissa, di uno straordinario moto non naturale di una stella sempre esistita e scesa nelle basse zone dell’atmosfera terrestre. Il fenomeno, dunque, rimane circoscritto nell’ambito della volontà divina di annunciare l’Incarnazione guidando i Magi verso Betlemme, senza dover causare, per questa ragione, alcuno stravolgimento dell’equilibrio cosmologico.

15.3 Conclusioni

Nonostante che l’anno di compilazione del manoscritto coincida con quello della comparsa della Supernova di Keplero, non vi sono molti elementi che accomunano i contenuti del De Stella Magorum e quelli del carteggio con Pier Matteo Giordani. È bene ricordare che qualche astronomo del tempo aveva colto l’occasione della comparsa delle due nuove stelle del 1572 e del 1604 per paragonarne la natura ed il significato a quella di Betlemme.58

Nel carteggio vi sono riferimenti generici all’astrologia che denotano un certo interesse per quella disciplina, mentre nel De Stella Magorum l’unico riferimento astrologico consiste nella dichiarata impossibilità di poter attribuire ogni eventuale ruolo causativo alla stella di Betlemme per l’evento della nascita di Cristo. Si tratta, dunque, di indicazioni insufficienti per affermare la presenza, in questi testi, di una visione astrologica comune.

Guidobaldo ha sostenuto nel carteggio che la nuova stella in realtà fosse una cometa. Nel manoscritto ha affermato che l’interpretazione che ha indicato nella stella di Betlemme una cometa fosse, tra le teorie da respingere, quella più plausibile alla luce del racconto evangelico e della regolarità dei fenomeni naturali. Si è visto come nel carteggio la difesa di questa posizione abbia indotto il marchese a riconoscere le difficoltà di conciliazione tra le rilevazioni del calcolo e la cosmologia tradizionale.59

Un elemento comune a questi scritti è il ricorso al testo aristotelico, in particolare a quello dei Meteorologica che assume un ruolo particolare. L’incorruttibilità dei cieli, apertamente difesa nel carteggio, rientra in una visione incentrata sulla regolarità e prevedibilità dei fenomeni celesti, riscontrabile anche nel manoscritto e il cui fondamento è identificabile nell’impostazione aristotelica. Quest’ultima descrive un cosmo perfetto ed ordinato, regolato da una insita finalità che determina il comportamento di ogni corpo al suo interno. Questa visione mira ad un inquadramento globale dei fenomeni osservati senza concedere molto spazio alla possibilità di poter osservare nuove realtà. È questa la concezione di fondo riscontrabile nel carteggio e nel De Stella Magorum, analizzati in questo lavoro. Nel caso della Supernova di Keplero tale idea di regolarità era stata del tutto messa in crisi. Nel caso della stella di Betlemme, invece, l’inconciliabilità tra le sue caratteristiche e quelle usuali dei corpi celesti, evidenziata sia dagli astronomi che dai Padri, porta, secondo del Monte, a riconoscere un miracolo che si limita alla volontà divina di rendere visibile la stessa stella ai Magi, senza necessità di alterare l’ordine naturale precostituito.

Riferimenti

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Note a piè pagina

“La prego di farmi honore di accettare questo mio libro della Considerazione Astronomica il quale com molto affetto le mando” (Galilei 1968, vol. XX, 598). In merito alle vicende relative alle Considerazioni di Alimberto Mauri rimando ai lavori di Stillman Drake (Drake 1976, 55-130 e 1988, 177–184).

Per maggiori dettagli sulla figura di Pier Matteo Giordani (Gamba and Montebelli 1988).

De Stella Magorum, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Urb. lat. 1743, cc. 65r–69r.

Cfr. (Arrighi 1965, 195). La possibilità che il nuovo corpo celeste potesse essere una cometa venne esclusa dalla maggior parte degli astronomi del tempo. Un’eccezione fu quella del vescovo di Teano Giovanni di Guevara (1561–1641), noto per essere stato incaricato di verificare eventuali contenuti eretici ne Il Saggiatore di Galilei. Per questa interpretazione del Guevara si rimanda alla sua lettera a Giovanni Antonio Magini del 4 dicembre 1604, cfr. (Favaro 1886, 287–289).

Sono le parole con le quali Ilario Altobelli afferma, in una lettera a Galilei, la presenza di questo nuovo corpo celeste tra le altre stelle fisse, cfr. (Galilei 1968, vol. X, 118). Al momento della comparsa della nuova stella la comunità degli astronomi era avviata verso un’impostazione che poggiava solidamente sulla fiducia nel calcolo matematico. L’evoluzione degli studi astronomici, segnata dall’opera di Copernico e di Brahe, aveva ormai imboccato questa strada e ciò già risultava essere un’inversione di rotta rispetto alla filosofia di Aristotele. Contrariamente a quanto accaduto per la nuova stella del 1572, per quella del 1604 tutta la comunità degli astronomi aveva riscontrato l’invariabilità della parallasse.

Aristotele, Meteorologica, I, 344 a10–345 a10.

In diversi passi dell’opera dello Stagirita è possibile riscontrare questa sua posizione, per esempio in Physica, II 193b23–194a12.

“Sic de situ, quod in medio; de motu, quod manet terra. Nobis autem sat fuit pro nostra contemplatione sic percurrere Aristotelis dicta. Novimus curiositates astrologicas recentiorum, a quibus tanquam ad aliam scientiam pertinentibus debuimus abstinere,” cfr. (Cassirer 1968, I, 455).

Ivi, p. 193.

“Sembrano travolti da un mare in tempesta” (Ricci 1988, 117).

Paradossalmente la scintillazione confermava che si trattasse di una stella proprio alla luce della teoria aristotelica. Nel secondo libro del De Coelo Aristotele attribuisce la causa del fenomeno alla limitata capacità della vista umana di osservare i corpi celesti più lontani: si tratterebbe, sempre secondo Aristotele, di un effetto ottico che non avviene al momento in cui si osservano i pianeti a motivo della loro minore distanza dalla Terra, cfr., Aristotele, De Coelo, II,8,290a, 15–27.

Cfr. (Arrighi 1965, 194). Tra i testi che ho analizzato non ho trovato, tuttavia, altre testimonianze di studiosi che, come del Monte, hanno interpretato l’evidenza della scintillazione come un argomento in favore della natura ignea ed elementare del fenomeno.

Ibidem. La misura così diversa della latitudine potrebbe anche essere dovuta ad un banale errore di comunicazione in questa lettera. La missiva del 31 dicembre 1604, infatti, così inizia: “Mi è stato caro assai di veder questa osservatione venuta da Praga, che è assai conforme alla mia quanto alla longitudine et latitudine,” ivi, p. 195. La “osservatione venuta da Praga” riporta un valore della latitudine conforme alla media delle altre rilevazioni da parte degli astronomi e del tutto diverso rispetto a quello comunicato da del Monte a Giordani.

Per la corrispondenza di Cristoforo Clavio sulla nuova stella si vedano le sue lettere del 18 novembre 1604 a Giovanni Antonio Magini, cfr. (Favaro 1886, 283–285), e del 18 dicembre 1604 a Galilei (1968, vol. X, 120–121).

“Il giorno 21 ottobre nel giardino imperiale, dove erano stati posti gli strumenti del Brahe, Tengnagel, genero di Tycho, insieme ad altri studiosi, rilevò in mia presenza questi dati:

Tra la Nova e Giove … 4. 7 1/2, io solo Testa dell’Ofiuco..34. 2 Spalla del Sagittario. 19. 54 Ginocchio Sinistro del Serpentario 16. 52. Tra Marte e Spalla del Sagittario. 30. 30 Ginocchio Sinistro del Serpentario 27. 36” (Kepler 1938, I, 209). Le osservazioni di Tengnagel erano giunte in Italia e diffuse dal Magini, come si legge nella sua lettera a Clavio del 18 dicembre 1604, cfr. (Gamba and Montebelli 1988, 50–51).

Cfr. Ibidem. L’analisi della trattazione del significato astrologico in questo carteggio non fa parte del precedente mio lavoro (Giostra 2003). Nella lettera del 20 gennaio 1605 al Giordani, Guidobaldo parla di un trattato di astrologia giudiziaria del quale anche lo stesso Giordani era a conoscenza; probabilmente era opera di un astrologo del luogo dal momento che Guidobaldo accenna a possibili conseguenze sulle vicende locali.

Cfr. (Casamatta 1605). La data di stampa non è indicata sul frontespizio ma è ricavabile dalla dedica al Signore di Sant’Agata, Horatio Fregosi, sottoscritta dallo stampatore il 15 gennaio 1605.

La nuova stella si trovava in prossimità della congiunzione planetaria tra Marte, Giove e Saturno e non mancarono gli studiosi che vedevano tra i due eventi un rapporto di interdipendenza. In questa sede, non potendo trattare dettagliatamente questo aspetto della discussione, mi limito a riportare il parere di Keplero che paragonò le nuove stelle del 1572 e del 1604, con quest’ultima che si distingueva per la sua vicinanza alla predetta congiunzione, alla differenza tra un’invasione subitanea ed una parata militare solenne: “Itaque prior illa Mundo non praemonito supervenit, et velut improvisus hostis, occupatis urbis moeniis, prius in foro comparuit, quam cives expeditionem eius fama percepissent: nostra vero, vulgo expectata a longo tempore, cum multa solennitate et triumphali pompa, ad diem constitutum est ingressa” (Kepler 1938, I, 272).

Discorso Astrologico, cit., c. 11. La numerazione delle pagine non è stata inserita in questa opera; ho dovuto, pertanto, effettuare un conteggio partendo dal frontespizio della stessa. Per quanto riguarda la siccità, Aristotele collega ad essa la formazione di questi fenomeni in Meteorologica, I, 344b20–345a5. Questa teoria di Aristotele è stata ripresa da alcuni studiosi che tentavano di collegare la siccità di quel periodo alla Nova del 1604. Nel Dialogo de Cecco di Ronchitti, così Galilei ironizza su questa credenza: “Mamma mia! Ma che asciutto, che arsura è questa?” [...] NA: “I prati son tutti bruciati, le campagne secche com’un osso” [...] MA: “Da che tu credi mo’, che proceda quest’asciuttore, eh?” [...] NA: “O che non hai visto quella stella che risplendeva la sera, tre mesi fa, che pareva un occhio di civetta? [...] L’è proprio lei la cagione di queste meraviglie e di questi seccori, secondo che dice un dottore di Padova” [...] MA: “Sì, ma essendo tanto lontana, e’ non può sapere ciò che la sia, per dire che l’è lei che non lascia piovere” (Galilei 1968, II, 313–331). Bersaglio di Galilei era il rigido aristotelismo di Antonio Lorenzini, espresso nel lavoro (Lorenzini 1605).

Discorso Astrologico, cit, c. 11.

Ibidem.

Ibidem.

Nella lettera del 20 gennaio 1605, del Monte accenna ad un’altra opera astrologica da lui consultata. Dai contenuti, tuttavia, non sembra possa trattarsi della stessa opera del Casamatta, perché quest’ultima è in versione bilingue e non solo in latino. Quanto ai contenuti, del Monte dà solo qualche indicazione generica ed insufficiente per risalire all’autore. “Et quel trattato Latino mostra di esser di persona, che facci profession della giudiziaria [...] et credo, che l’indovinarà, perché vuol, che significhi guerra e pace, concordie e discordie, malatie, et anche sanità, et poi si riduce che si habbi da far una monarchia, ma non ha fatto niente, poi non hà detto, chi il monarca habbi da esser, o il s.r Conte di Carpegna, o V.S., o io [...] perché altri, che siano non ha garbo” (Arrighi 1965, 195). Con i puntini in parentesi quadra ho indicato quelle parti della lettera non riportate dall’Arrighi.

Le parti del testo riportate in questo lavoro contengono i termini per intero e non le abbreviazioni originali di del Monte. L’anno di compilazione del manoscritto è posto nella sua parte in alto a sinistra, al di sotto del nome dell’autore.

De Stella Magorum, cit., c. 65. Per una conoscenza di base delle questioni connesse con la stella di Betlemme rimando ai lavori di Crudele (2002) e Holzmeister (1942).

De Stella Magorum cit., c. 65.

Ivi. c. 67

Ivi. c. 65.

Ivi. L’opinione di Gregorio di Nissa viene riportata nell’opera dell’astronomo gesuita Giovambattista Riccioli (1598–1671): “Stellam itaque quae apparuit Magis, fuisse unam de antiquis fixis stellis, aut de septem planetis, quae descenderit ad terram, censuit S. Gregorius Nyssenus homilia de Christi incarnatione” (Riccioli 1651, vol. II, 179-180).

De Stella Magorum, cit., c. 65.

“Questa stella ha sconvolto i calcoli senza alcun fondamento degli astrologi e le loro previsioni, mentre ha fatto capire a chi venera gli astri che occorre piuttosto adorare il creatore del cielo e della terra [...] Cosa era quella stella, mai precedentemente apparsa tra le altre e che poi non si fece più vedere?” Agostino, Sermo 201.1. In generale il pensiero dei Padri concordava su un punto essenziale: la presenza della stella era dovuta ad un miracolo divino e ciò escludeva ogni possibilità che la nascita di Cristo fosse dovuta agli influssi astrali. La stella, dunque, sarebbe stata uno strumento per l’annuncio dell’evento, come afferma lo stesso Agostino nel Sermo 204, nel quale viene definita una “lingua venuta dal cielo.” In diversi suoi Sermones, S. Agostino afferma che Dio si sarebbe servito degli angeli per annunciare la natività ai pastori (Lc 2,8–20) e della stella per annunciarla ai Magi. In particolare, nei Sermones 204 e 373 tale duplice modalità di annuncio rappresenterebbe una conferma del Salmo 18,2—“Caeli enarrant gloriam Dei:” “Illis (pastoribus) eum angeli, istis vero stella eum nuntiavit. Caelos angeli habitant, et sidera exornant: utrisque ergo caeli enarraverunt gloriam Dei utrisque ergo caeli enarraverunt gloriam Dei,” Sermo 204.

“Quella stella, dunque, non era tra quelle che fin dall’inizio della creazione mantengono l’ordine delle loro traiettorie secondo la legge del Creatore [...] Se poi, come è più giusto credere, sia nata una stella che ancora non esisteva per annunciare Cristo, non fu certo la sua esistenza a determinare la nascita di Cristo ma la sua esistenza si deve alla nascita di Cristo,” Agostino, Contra Faustum manichaeum libri triginta tres, 2.5.3.

De Stella Magorum, cit., cc. 65–66.

Ivi. c. 66.

Ibidem.; L’abbinamento tra i due miracoli, cioè l’apparizione della stella al momento della natività e l’oscuramento del Sole in occasione della crocifissione, potrebbe essere stata suggerita a del Monte dalla lettura dei testi agostiniani—per un confronto si veda il testo dei Sermones 199.2.3—e del filosofo rinascimentale Marsilio Ficino, cfr. nota 46.

Ibidem; Nonostante l’impossibilità di interpretazione di qualche parola, la parte integra del testo non dovrebbe dar adito a dubbi in proposito, poiché l’autorità dei Padri è un argomento esplicitamente affermato in più parti del manoscritto. Anche per questo testo ho inserito tre puntini in parentesi quadra al posto di ogni parola che non sono riuscito a decifrare a causa del cattivo stato di conservazione. Da ora in poi continuerò ad usare questo tipo di semplificazione.

Cfr. ibidem.

Ivi, cc. 66–67.

Ivi, c. 67.

Per i riferimenti all’opera di Crisostomo, cfr. nota 57. Tommaso d’Aquino discute le opinioni di Crisostomo anche se adotta la tesi secondo la quale si tratterebbe di una stella creata per l’occasione e posta nelle vicinanze della Terra: “Et, sicut ipse (Chrysostomus) dicit, hoc non videtur proprium esse stellae, sed virtutis cuiusdam rationalis. Unde videtur quod haec stella virtus invisibilis fuisset in talem apparentiam transformata. Unde quidam dicunt quod, sicut spiritus sanctus descendit super baptizatum dominum in specie columbae, ita apparuit Magis in specie stellae. Alii vero dicunt quod Angelus qui apparuit pastoribus in specie humana, apparuit magis in specie stellae. Probabilius tamen videtur quod fuerit stella de novo creata, non in caelo, sed in aere vicino terrae, quae secundum Dei voluntatem movebatur,” Summa Theologiae, III, q. 36, a. 7.

De Stella Magorum, cit., c. 67. Nei Meteorologica Aristotele offre una spiegazione di questi fenomeni che, secondo lo stagirita, restano confinati all’interno della zona elementare. Per quanto riguarda le comete si veda la sezione I. 344 a 10 ss, mentre per la spiegazione degli altri fenomeni luminosi, chiamati impropriamente stelle, in particolare con riferimento alle stelle cadenti, si veda la sezione I. 341b. In ogni caso, nella teoria aristotelica, sia per le comete che per gli altri fenomeni luminosi, la ragione consiste nell’infiammazione delle esalazioni di origine terrestre a causa della traslazione delle sfere celesti superiori.

Cfr. note 26 e 28.

De Stella Magorum, cit., c. 67. In questo caso del Monte, negando la possibilità che si sia ripetuto un miracolo di quella portata, in base alla sua fiducia nel cosmo aristotelico nega che un qualsiasi corpo abbia potuto attraversare le sfere solide celesti, come sarebbe avvenuto nel caso del battesimo di Cristo. “Baptizatus autem Jesus, confestim ascendit de aqua, et ecce aperti sunt ei cæli: et vidit Spiritum Dei descendentem sicut columbam, et venientem super se,” Mt 3,16. “Et statim ascendens de aqua, vidit cælos apertos, et Spiritum tamquam columbam descendentem, et manentem in ipso,” Mc 1,10. “Factum est autem cum baptizaretur omnis populus, et Jesu baptizato, et orante, apertum est cælum: et descendit Spiritus Sanctus corporali specie sicut columba in ipsum,” Lc 3, 21-22. Nella Bibbia, altri riferimenti concernenti la presunta “apertura” dei cieli possono essere trovati in: Ez 1,1; At 10,11; Ap 4,1; Ap 15,5; Ap 19,11; Is 63,19. I testi biblici riportati in questo saggio sono stati ripresi dalla Vulgata Clementina, ufficialmente adottata nel mondo cattolico nel 1592.

De Stella Magorum, cit., c. 67, “Septem stellæ, angeli sunt septem ecclesiarum,” Ap 1,20. Le due ultime frasi di Guidobaldo riconducono al testo di Tommaso d’Aquino sopra riportato (cfr. nota 41) nel quale, tuttavia non vi è riferimento al libro dell’Apocalisse. Le similarità del testo e il fatto che l’Aquinate abbia discusso la tesi di Crisostomo rendono plausibile che del Monte conoscesse questa sezione della Summa Theologiae.

Ivi, c. 67. Tra i Padri che hanno ipotizzato potesse trattarsi di un corpo celeste di breve durata, segnalo il parere di Origene (185–254) espresso nell’opera Contra Celsum (I, 58–60). Secondo Origene, il racconto dell’evangelista Matteo esclude la possibilità di una stella o un pianeta ma si accorda con le caratteristiche di un corpo celeste come una cometa o una meteora. Basandosi sul pensiero dello stoico Cheremone, per Origene se si può credere nella comparsa di questi corpi in occasione di grandi eventi storici, a maggior ragione si può credere nella comparsa di uno di essi in concomitanza con la nascita di Cristo e l’avvento del suo messaggio universale. Anzi, mentre non vi sono esatte profezie in merito agli effetti delle comete sulle vicende storiche, nel caso della Stella di Betlemme vi è quella di Balaam nel libro dei Numeri 24,17, “Una stella spunta da Giacobbe, uno scettro sorge da Israele.” Il testo di Origene venne ripreso da Marsilio Ficino che, nel De Stella Magorum, affermò trattarsi di una cometa. Ficino sostenne che i Magi avessero intuito la nascita di un grande re in base alle loro conoscenze astrologiche e, inoltre, in base al moto e alla luminosità non naturali della cometa. Queste caratteristiche, attestate dal racconto evangelico, sarebbero state possibili grazie all’intervento dell’Arcangelo Gabriele che avrebbe condensato l’aria per poi illuminarla con la sua luce. La sua azione, dunque, avrebbe condotto la cometa dalla Giudea verso oriente per renderla visibile ai Magi e da lì sarebbe tornata indietro per guidare il loro cammino. Secondo Ficino, la potenza angelica, pertanto, avrebbe anche annunciato la Natività ai pastori (Lc 2,8–20), ammonito i Magi a non tornare da Erode (Mt 2,12), avvertito Giuseppe di fuggire in Egitto (Mt 2, 13–15) e oscurato il Sole al momento della morte di Cristo (Mt 27,45—Mc 15,33—Lc 23,44). La versione italiana del De Stella Magorum di Ficino si trova in (Pompeo Faracovi 1999, 158–163).

Ivi, cc. 67–68.

Ivi, c. 68.

Ivi, c. 65.

Per una sintesi delle opinioni in merito si veda (Crudele 2002).

Cfr. nota 44.

De Stella Magorum, cit., c. 68.

Questo passo di Giovanni Crisostomo, tratto dalle Omelie sul Vangelo di Matteo 7,3, è stato ripreso da Simonetti (2004, 67).

De Stella Magorum, cit., c. 68.

“Illa, inquam, stella non erat de Coelestium Astrorum genere, neque cum hac Nova, cuius hic sit mentio, aut Cometis, ullatenus congruebat. Fuit potius peculiare atque admirandum Dei Opus [...] Existisse enim hanc Stellam Magorum, longe ab aliis, quae in Aethere lucent, diversam sive indigenae sive ascititiae sint, inde satis probatur [...] Siquidem non in suprema Aeris Regione, nedum in ipso Coelo versabatur” (Brahe 1602, cc. 324-325). Già nella sua prima opera sulla nuova stella, Brahe si era soffermato ad escludere ogni possibile collegamento tra la Stella dei Magi e il nuovo corpo celeste nella costellazione della Cassiopea. Anche in questo caso, le caratteristiche della Stella di Betlemme, desumibili dal racconto evangelico, non concordano in nessun modo con le rilevazioni matematiche riguardanti la Nova del 1572: “Illa enim non in coelo inter reliquas stellas, sed in ima aeris regione, non procul a superficie terrae locum obtinebat [...] Sufficit enim demonstrasse hanc novam et inusitatam stellam, quae nuper apparuit, nullam habere cognationem cum illa, quae Magis conspiciebatur, nec posse eius generationis modum salvari, vel a Theologis, vel a Philosophis, nec ab ipsis etiam Mathematicis” (Brahe 1573, cc. 22-23).

“Stella ab his (Magis) videtur; et ubi Herodes est, non videtur: ubi Christus est rursus videtur, et viam monstrat. Ergo stella haec via est, et via Christus; quia secundum Incarnationis mysterium Christus est stella: Orietur enim stella ex Jacob, et exsurget homo ex Israel. Denique, ubi Christus, et stella est; ipse enim est stella splendida et matutina. Sua igitur ipse luce se signat [...] (Magi) viderunt novam stellam, quae non erat visa a creatura mundi. Viderunt novam creaturam, et non solum in terra, sed etiam in coelo gratiam novi hominis requirebant, secundum quod Moyses prophetice posuit, quia Orietur stella ex Jacob, et exsurget homo ex Israel. Et cognoverunt hanc esse stellam, quae hominem Deumque significat.” Queste due citazioni, facenti parte del secondo libro del commento al Vangelo di San Luca, sono state riprese da (Ambrogio 1875-1883, vol. III, 52-53).

De Stella Magorum, cit., cc. 68–69. Una descrizione del comportamento anomalo della Stella di Betlemme, simile a quella offerta in questo manoscritto, è quella di Giovanni Crisostomo nelle Omelie sul Vangelo di Matteo 7,3–4. Proprio queste sue caratteristiche avevano indotto Crisostomo ad escludere la somiglianza con qualsivoglia altro oggetto celeste: “Nessun’altra stella, infatti, ha una simile natura” (Simonetti 2004, 67). Crisostomo, nel passo 7,4 delle Omelie, afferma come una delle evidenze in favore del carattere rivelatorio di questo evento fosse dato dalla sua momentanea scomparsa al momento dell’ingresso dei Magi a Gerusalemme. In questo modo, prima che la stella apparisse loro di nuovo dopo essersi messi in cammino, gli stessi Magi sarebbero stati costretti a chiedere informazioni sul luogo di nascita di Cristo, parlando così agli Ebrei della stella stessa.

Jan Van Heeck, uno dei fondatori dell’Accademia dei Lincei, nella sua opera sulla Nova del 1604 contesta alcune interpretazioni relative alla natura delle nuove stelle, tra le quali quella che le paragonava alla stella di Betlemme: “Seconda sententia est aliquorum quos Ticho citat dicentium has stellas esse eius naturae cuius erat illa, quae Magorum apparuit tempore, hoc falsum esse facillime probatur. Illa enim a Deo miracolose in aeris regione creata, et conservata fuit terrae propinqua, haec autem a terra remotissima, certissimis instrumentorum apodixibus in caelo reperta fuit, quod autem illa prope terram fuerit ex eo certum est, quod alias domum precise, in qua Infans Christus fuit non designasset” (Heckius 1605, cc. 14-15). Per quanto concerne l’opinione in merito di Tycho Brahe, cfr. nota 55.

Come già accennato (cfr. nota 44), accettando l’idea di un comportamento anomalo di un corpo celeste, del Monte avrebbe annullato la dicotomia terra-cielo, tipica della cosmologia della tradizione. L’avvicinamento di un qualsiasi corpo celeste alla Terra, infatti, avrebbe comportato l’attraversamento delle sfere celesti. Si sarebbe trattato, pertanto, di un evento sconvolgente soprattutto per un sostenitore del modello cosmologico di origine aristotelica.