6 Guidobaldo e la teoria delle proporzioni

Enrico Giusti

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10.34663/9783945561218-07

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Giusti, Enrico (2013). Guidobaldo e la teoria delle proporzioni. In: Guidobaldo del Monte (1545–1607): Theory and Practice of the Mathematical Disciplines from Urbino to Europe. Berlin: Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften.

6.1 Introduzione

Quando sul finire del Quattrocento l’invenzione della stampa determina una repentina accelerazione nella diffusione delle opere dei classici, sottraendole alla laboriosa e sotterranea circolazione manoscritta, tra i primi testi matematici che la tipografia mette a disposizione degli studiosi figurano gli Elementi di Euclide. Il numero sterminato di edizioni, traduzioni, ristampe, che si succedono per tutto il sedicesimo secolo,1 testimonia della capillare diffusione dell’opera euclidea, la cui assimilazione contribuirà non poco al diffondersi di una cultura matematica unitaria, e dunque al formarsi di una comunità scientifica universale.

Il processo di appropriazione degli Elementi è diseguale. Alcuni capitoli più semplici, come i primi quattro, o i libri dal settimo al nono, dedicati all’aritmetica, o anche, seppure con qualche maggiore difficoltà, quelli che trattano della geometria solida, vengono rapidamente assimilati, non senza dar luogo in alcuni casi a lunghe discussioni. Altre parti, come ad esempio il decimo libro, sono tecnicamente più ardue e meno comprensibili; la loro acquisizione è più lenta e non di rado vengono tralasciate, specie nelle trattazioni più elementari, essendo ritenute, non a torto, di livello superiore e dunque riservate agli specialisti.

In questa scala di complessità crescenti, il quinto libro degli Elementi, in cui si introduce la teoria generale delle proporzioni, occupa un posto singolare. Da una parte infatti esso è un libro essenziale per chi voglia progredire al di là delle parti elementari della geometria, soprattutto quando nella seconda metà del XVI secolo la teoria delle proporzioni diventa il linguaggio naturale per una nuova concezione della filosofia naturale che troverà in Galileo la prima realizzazione compiuta.

Ma allo stesso tempo, il quinto è un libro difficile e complesso. Difficile per il grado di astrazione di gran lunga superiore al resto del trattato, difficile per la mancanza di una qualsiasi rappresentazione grafica che permetta di “vedere” la necessità dei risultati al di là del lento procedere delle dimostrazioni, difficile per la persistenza di una tradizione medievale che, insistendo sulle proporzioni razionali e sulla loro classificazione e nomenclatura, impediva di cogliere le sottigliezze della teoria generale o quanto meno le annacquava in una prospettiva aritmetizzante, che ne tradiva il senso geometrico traducendone gli enunciati in numeri e operazioni. Infine, difficile soprattutto per la sua stessa architettura assiomatica fondata sulle definizioni di rapporti uguali e disuguali, due definizioni che nulla concedono all’intuizione e che richiedono che si proceda per pura deduzione.

A tutto ciò si deve aggiungere poi un ulteriore fattore di complicazione: il testo stesso del quinto libro, o quanto meno il testo di cui disponevano gli studiosi medievali e cinquecenteschi, si presentava corrotto e interpolato, una circostanza che è allo stesso tempo fonte di ulteriori problemi di interpretazione e segno della complessità della materia e delle difficoltà che si frapponevano a una sua corretta comprensione e di conseguenza alla correzione dei passaggi più discutibili.

Infine, non ultimo, il rispetto quasi religioso per dei testi che, per imperfetti che potessero sembrare ai geometri più avvertiti, rappresentavano l’eredità di una cultura scientifica incomparabilmente più sviluppata di quella di chi li studiava, e il cui compito era non di giudicarne o correggerne le presunte manchevolezze, ma di spiegarne, per quanto possibile, i passi più oscuri, o piuttosto quelli che apparivano tali a causa della distanza tra “la suprema accuratezza d’Euclide” e le capacità limitate degli interpreti.

Il processo di appropriazione del quinto libro degli Elementi si articola in tre fasi successive.

La prima, che va dalla riscoperta del testo euclideo, o meglio della traduzione latina di una versione araba, fino all’incirca alla metà del Cinquecento, si può chiamare con buona approssimazione la fase della giustificazione. Il testo degli Elementi viene assunto in toto, indipendentemente dalle difficoltà di interpretazione, al limite dell’incomprensibilità, che esso pone in vari luoghi, e che traevano la loro origine da errori di trascrizione e di traduzione, presenti fin dalle prime versioni latine e forse già nel codice su cui queste vennero condotte, limitandosi il traduttore a una mera versione letterale, e il commentatore all’interpretazione dei passi più oscuri, che con esempi e commenti cercherà di rendere in qualche modo accettabili.

Segue poi un periodo di sistemazione, che si estende fino alla fine del secolo, nel quale, favoriti dalla possibilità di accedere direttamente a codici migliori, ma anche da una più estesa cultura scientifica e da una maggiore fiducia nelle proprie capacità, gli studiosi riescono a procurare delle edizioni filologicamente più corrette e soprattutto matematicamente coerenti. Su tali edizioni si formeranno i nuovi scienziati, che avendo assimilato il contenuto scientifico del quinto libro se ne serviranno come strumento di ulteriori ricerche sia in ambito strettamente geometrico, sia nel processo di creazione della nuova scienza, che in esso troverà il proprio linguaggio matematico. L’incontro con la filosofia naturale segna una svolta nel processo di assimilazione della teoria delle proporzioni, che ora non viene giudicata più soltanto dal punto di vista della coerenza interna, ma anche soprattutto da quello dell’efficacia strumentale. E come la complessità delle definizioni euclidee aveva rallentato la piena comprensione della struttura matematica della teoria, così, ora che i principi geometrici e le tecniche dimostrative si possono considerare acquisiti, altre esigenze, stavolta estranee alla coerenza interna della costruzione euclidea ma non per questo meno impellenti, spingono per una semplificazione dell’apparato assiomatico, allo scopo di diminuirne la macchinosità e di conseguenza di accrescerne l’efficacia. Si assiste dunque a una divaricazione tra due opposte tendenze. Da una parte un atteggiamento filologico, che ha come scopo essenziale la ricostituzione del testo euclideo nella sua purezza, e nell’ambito del quale i commenti hanno la sola funzione di chiarificare e giustificare un testo che si può considerare come ormai acquisito; dall’altra un punto di vista strumentale, di chi si serve della teoria delle proporzioni come strumento di indagine nelle nuove scienze, e che quindi è disposto ad abbandonare la lettera della lezione euclidea quando ragioni di chiarezza e di semplicità facciano preferire altre formulazioni anche radicalmente diverse. In ambedue i casi si tratta di ricerche che di rado giungono a divenire pubbliche con le stampe, quasi che si trattasse più di chiarimenti privati che di prese di posizione pubbliche. Nondimeno a questo dialogo sotterraneo contribuiscono i massimi scienziati italiani del periodo a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo; da Clavio a Benedetti, da Torricelli a Borelli, da Guidobaldo a Galileo; attori di un dibattito che rimarrà vivo finché il nuovo calcolo infinitesimale si proporrà con ben altra efficacia quale linguaggio unificante della filosofia naturale.

6.2 Le definizioni del V Libro

1Una grandezza è parte di una grandezza, la minore della maggiore, quando la minore misura la maggiore.

2La maggiore è multipla della minore, quando è misurata da questa.

3Il rapporto è una relazione tra due grandezze dello stesso genere secondo la grandezza.

4Due grandezze si dicono aver rapporto tra loro quando moltiplicate possono superarsi.

5Quattro grandezze si dicono nello stesso rapporto, la prima alla seconda e la terza alla quarta, quando gli equimultipli della prima e della terza, presi secondo qualsiasi moltiplicazione, o sono ambedue maggiori, o ambedue uguali, o ambedue minori degli equimultipli della seconda e della quarta, presi secondo qualsiasi moltiplicazione.

6.3 L’acquisizione del testo euclideo

La prima metà del sedicesimo secolo vede il graduale emergere di un testo organico—quello dell’apparato assiomatico della teoria delle proporzioni—che viene via via depurandosi da interpolazioni e da interpretazioni che ne falsavano il significato e ne compromettevano una piena comprensione. Un esempio basterà per rendersi conto delle difficoltà di interpretazione. L’edizione più diffusa nella prima metà del Cinquecento, quella che Campano di Novara aveva procurato ricorrendo a una traduzione dell’arabo eseguita nel XIII secolo da Adelardo di Bath,2 presentava al quinto posto una definizione chiaramente incongruente e spuria, probabilmente dovuta a un errore di un antico copista:3

Si dicono avere proporzione continue quelle quantità i cui equimultipli o sono uguali o si sopravanzano o diminuiscono ugualmente senza interruzione.4

Le difficoltà di inserire una tale definizione in un sistema coerente, o comunque di giustificare in qualche modo la sua presenza, non sono di poco conto. Una prima interpretazione, che voleva che il costante sopravanzarsi o eguagliarsi degli equimultipli si dovesse intendere nel senso della uguaglianza delle differenze, era stata respinta dallo stesso Campano, che però aveva argomentato doversi leggere come uguaglianza dei rapporti:

È chiaro che la similitudine degli eccessi o dei difetti non si deve intendere secondo la quantità dell’eccesso, ma secondo la proporzione. Pertanto il senso della definizione è: sono continuamente proporzionali quelle grandezze i cui molteplici uguali sono continuamente proporzionali. Ma Euclide non ha voluto porre la definizione in questo modo, perché avrebbe definito una cosa tramite sé stessa.5

Pur riconoscendo la circolarità della definizione, Campano riteneva dunque di poterla accettare sotto la forma oscura in cui appariva nella sua versione degli Elementi. E d’altra parte non si vede come si possa sfuggire a una tale interpretazione circolare, se si vuole inserire la definizione in uno schema coerente, sicché la lettura proposta da Campano, pur riducendosi a una tautologia, è la sola accettabile senza evidenti e immediate contraddizioni.

Tre secoli dopo, una tesi simile è sostenuta da Oronce Finé:

Dice Euclide che quattro grandezze sono nello stesso rapporto, la prima alla seconda e la terza alla quarta, quando presi equimultipli della prima e della terza, cioè delle antecedenti, ed equimultipli delle conseguenti, ossia della seconda e della quarta (anche secondo una moltiplicazione diversa dalla precedente), il multiplo della prima al multiplo della seconda ha lo stesso rapporto del multiplo della terza a quello della quarta.6

Si tratta però di posizioni sempre più isolate e sporadiche, spesso oggetto di critiche e confutazioni,7 e nella seconda metà del XVI secolo l’assimilazione delle definizioni del quinto libro può considerarsi compiuta. In particolare, viene espunta la definizione spuria che abbiamo riportato sopra, e vengono respinte di conseguenza le interpretazioni di Campano e di quanti lo avevano seguito. Così Tartaglia, pur riportando la definizione in questione, dice:

La qual diffinitione, penso questo et tengo per fermo che la non sia di Euclide perché tal diffinitione non ha in se alcuna ragione de diffinitione, perché né secondo il modo che parla tal diffinitione, né secondo che dice lo espositore di quella potremo conoscere, over dimostrar tre quantità continue, esser continue proportionale, et molto mi meraviglio del commentatore che vol diffinire tre quantità continue proportionale per tre quantità continue proporzionale.8

Analogamente il Clavio:

Campano invero, e Oronzio [Finé] interpretano questa definizione molto diversamente. Dicono infatti che Euclide voglia che allora quattro grandezze abbiano la stessa proporzione, quando gli equimultipli della prima e della terza, degli equimultipli della seconda e della quarta, uno ad uno, o sono insieme proporzionalmente minori, cioè nella stessa proporzione, o sono uguali, o sono proporzionalmente maggiori, se si prendono le grandezze corrispondenti. Più chiaramente, come dice Campano, quando i loro molteplici sono proporzionali, cioè quando il molteplice della prima al molteplice della seconda ha la stessa proporzione che il molteplice della terza ha al molteplice della quarta. Ma chi non vede che, se si interpreta così la definizione, Euclide definirebbe una cosa per mezzo di sé stessa?9

Più succintamente Commandino:

Bisogna intender l’eccesso, et il diffetto semplicemente, non secondo la proportione, come volle il Campano, altramente il medesimo se dechiararia per il medesimo, che è inconveniente.10

6.4 Due percorsi di lettura

La prima parte del XVI secolo si consuma nella ricerca di un senso geometrico della teoria delle proporzioni; un’operazione complessa e di lunga lena, che si potrà considerare conclusa solo nell’ultimo quarto del secolo, anche grazie all’apparire di due nuove traduzioni, che resteranno un modello per circa due secoli, dovute a Federico Commandino11 e a Cristoforo Clavio.12 La prima, condotta direttamente su un codice greco, verrà anche tradotta in italiano nel 1575.13

In ambedue le edizioni è sparita ovviamente la definizione spuria sopra riportata; non però del tutto l’ambiguità interpretativa, che prende le mosse stavolta da un’altra definizione, anch’essa espunta come interpolata da I. L. Heiberg nella sua edizione degli Elementi,14 e dopo di lui da tutta la critica moderna, ma nondimeno presente in tutte le edizioni antiche del testo euclideo.

La posizione di questa definizione varia nelle diverse edizioni degli Elementi: in particolare essa si trova all’ottavo posto nella versione di Commandino, al quarto in quella di Clavio.15 Anche il testo è diverso: mentre Clavio, seguendo una tradizione consolidata, scrive “La proporzione è una similitudine di rapporti,”16 Commandino preferisce invece lasciare inalterato il termine greco, ed ha “L’Analogia è una similitudine di rapporti.”17

La presenza di una tale definizione, e la sua differente collocazione nel testo euclideo, stante anche il carattere sostanzialmente astratto (non legato cioè a rappresentazioni o immagini geometriche) del quinto libro, sarà all’origine di due interpretazioni, quasi due teorie delle proporzioni distinte e antagoniste. La versione di Commandino conduce a un percorso di lettura “moderno,” nel quale il ruolo chiave è giocato dalla definizione di rapporti uguali, e che si snoda lungo le fasi seguenti:

1Introduzione del concetto di rapporto (ratio o proportio, in italiano solitamente tradotto con rapporto o proporzione, ma anche con ragione) tramite la definizione 3 e la 4, che in un certo senso precisa cosa debba intendersi per “grandezze del medesimo genere.”

2Definizione di rapporti uguali, per mezzo degli equimultipli (Commandino 5).

Al contrario, la lezione di Clavio, nella quale la definizione spuria (Clavio 4) occupa un posto cruciale, al confine tra le nozioni di ratio e di proportio, suggerisce un’interpretazione del testo di Euclide secondo lo schema seguente:

1Introduzione del concetto di rapporto (definizione 3).

2Definizione di proporzione (proportio o proportionalitas, in italiano reso con proporzionalità) come uguaglianza (similitudine) di rapporti (Clavio 4).

3Chiarificazione della Definizione 3 mediante la precisazione della nozione di grandezze del medesimo genere (Clavio 5).

4Precisazione della nozione di similitudine (uguaglianza) di rapporti per mezzo degli egualmente molteplici (Clavio 6).

Questo secondo punto di vista, basato sulle definizioni ’non operative’ di rapporto e di proporzione, farà sentire la sua forza non appena altre esigenze, stavolta esterne alla matematica in senso stretto, domanderanno una revisione della teoria euclidea.

6.5 I commenti di Guidobaldo del Monte

Tra gli studiosi che nel sedicesimo secolo si sono confrontati con il testo euclideo, un posto non secondario è occupato da Guidobaldo del Monte, non tanto, e non solo, per l’interesse intrinseco dei suoi commenti al quinto libro e alla definizione euclidea di proporzione composta, quanto piuttosto per la sua posizione di osservatore privilegiato, vicino da una parte al lavoro filologico di Federico Commandino di cui fu allievo nelle scienze matematiche, e dall’altra alle ricerche fisiche e geometriche del giovane Galileo, di cui fu corrispondente e in una certa misura protettore.

Sulla teoria delle proporzioni Guidobaldo del Monte ci ha lasciato due manoscritti, intitolati rispettivamente In quintum Euclidis Elementorum librum Commentarius e G[uidi] U[baldi] de proportione composita. Opusculum.18 Nessuno di questi due opuscoli contiene innovazioni di rilievo rispetto al testo degli Elementi. Al contrario, lo scopo dichiarato di Guidobaldo, lungi dal riformare in qualche modo il procedere del geometra alessandrino, è quello di seguire alla lettera la teoria euclidea, limitando il proprio intervento alla chiarificazione e alla discussione dei suoi punti più oscuri, o comunque più difficili:

nei quali non si cambierà né si altererà una sola parola di Euclide, in modo da trattare particolarmente quelle che hanno bisogno di spiegazione, come si conviene a un fedele interprete.19

Una spiegazione comunque, anch’essa aderente allo spirito e alla lettera degli Elementi, e priva di qualsiasi intervento che si sovrapponga al dettato euclideo:

Né è nostra intenzione far parlare Euclide secondo la nostra propria interpretazione. Vogliamo infatti che Euclide rimanga Euclide.20

Questa operazione che pretende di intervenire sul testo senza alterarlo, ma limitandosi a gettare luce sui punti più oscuri senza peraltro aggiungere nulla che non sia già presente, poteva fondarsi solo su una versione anch’essa oggettiva e fedele: quella di Commandino.

Benché infatti circolino molti commenti e molte versioni di questo quinto libro, noi tuttavia seguiremo solo la versione latina di Federico Commandino, in quanto fedele interprete del testo greco, e che in particolare niente ha aggiunto, o tolto, o mutato alle parole di Euclide, e ne ha totalmente conservato l’ordine sia nelle definizioni che nelle proposizioni.21

L’adesione al testo di Commandino implica naturalmente l’interpretazione delle definizioni del quinto libro secondo il percorso commandiniano, in particolare per quanto riguarda il significato del termine Analogia che, come abbiamo detto, Commandino aveva lasciato senza tradurlo sia nella versione latina che in quella italiana. Gli Elementi di Commandino non recano alcun commento in proposito, e si limitano a riportare la definizione senza neanche tentare di chiarire cosa debba intendersi con tale termine; un silenzio comprensibile dato che un qualsiasi tentativo in questo senso sarebbe stato equivalente a una traduzione.

Al contrario, Guidobaldo dedica un lunghissimo commento alla Definizione Commandino 8, che collega alle definizioni 19 (ex aequali) e 20 (analogia perturbata) e dunque interpreta nel senso di una relazione che intercorre tra due serie di grandezze rispettivamente proporzionali:

Essendo l’analogia similitudine di proporzioni, occorre dunque che vi siano più proporzioni simili per costituire un’analogia. Così ad esempio, supponiamo che la stessa proporzione che A ha a B, E l’abbia ad F; e poi che la stessa proporzione che B ha a C, F l’abbia a G; e quella stessa che C ha a D, G l’abbia ad H, e così via se ce ne sono di più. In tal modo ABCD ed EFGH saranno in analogia, poiché in EFGH vi sono le stesse proporzioni che in ABCD.22

In questo modo il termine analogia è interpretato in un senso più generale del termine proporzionalità usato da Clavio. Quest’ultima è limitata a quattro grandezze, la prima invece riguarda una doppia serie di grandezze in numero arbitrario e a due a due proporzionali: le grandezze ABCD[...] e le EFGH[...] saranno in analogia quando A:B = E:F, B:C = F:G, C:D = G:H, e così di seguito. La nozione di proporzionalità tra due coppie di grandezze si trova dunque ampliata a due serie arbitrarie; allo stesso tempo però essa perde di specificità, al punto che, in mancanza di un termine apposito, lo stesso concetto di proporzionalità tra quattro grandezze diventa difficile da esprimere.

Ma il commento di Guidobaldo non si limita a chiarificare questo punto delicato della teoria delle proporzioni, o meglio della lettura derivante dalla traduzione di Commandino, né ad illustrare come la maggior parte dei commentatori i passi più difficili, quali ad esempio la definizione di grandezze proporzionali e non proporzionali; in altre parole, Guidobaldo non si propone, o quanto meno non solamente, di fornire un’interpretazione della teoria delle proporzioni allo stesso tempo plausibile dal punto di vista matematico e corretta da quello filologico. Di più, egli vuole giustificare le singole frasi, quasi le singole parole, del testo euclideo, che come si è visto identifica totalmente con la versione di Commandino. Così ad esempio, sempre sulla scorta della sua interpretazione dell’analogia, viene impugnata la versione che, diversamente da Commandino e da Clavio, parlava di uguaglianza invece che di similitudine di rapporti:

Qui vale la pena di osservare, come Euclide non abbia detto l’analogia essere uguaglianza di proporzioni, ma similitudine di proporzioni, escludendo in tal modo che nell’analogia tutte le proporzioni debbano essere uguali, come avviene nelle grandezze proporzionali, che essendo nella stessa proporzione, contengono proporzioni sempre uguali tra loro. E così definì l’analogia tramite la similitudine di proporzioni, in modo che nell’analogia possano coesistere l’uguaglianza e la disuguaglianza delle proporzioni. L’uguaglianza, in quanto devono corrispondere in proporzione a due a due, in modo che la proporzione tra A e B corrisponda a quella tra E ed F, come pure quelle tra BC, FG e tra CD, GH. La disuguaglianza, in quanto può accadere che la proporzione tra A e B, e tra E ed F non sia la stessa di quella tra B e C e tra F e G, e così le altre. In questo senso Euclide prende la similitudine delle proporzioni. Peraltro, essendo l’analogia similitudine di proporzioni, niente vieta che tutte le proporzioni possano essere uguali tra loro, come avviene nelle grandezze in proporzione continua; infatti la similitudine non esclude l’uguaglianza.23

Lo stesso criterio di aderenza totale al testo domina il secondo opuscolo di Guidobaldo del Monte. L’origine del problema è la definizione VI.5 di proporzione composta, che nell’edizione di Commandino dice:

Una proporzione si dice composta da proporzioni, quando le quantità delle proporzioni, moltiplicate tra loro, avranno prodotto qualche proporzione.24

La definizione mal si accorda con la teoria precedentemente svolta nel quinto libro, ed è in tutta probabilità, secondo l’opinione di Heiberg,25 frutto di un’interpolazione antica, certamente anteriore al quarto secolo. Essa non appare nella versione dall’arabo di Campano, mentre è presente in quella di Zamberti.

L’interpretazione classica, risalente ad Eutocio, è che la quantità di una proporzione si debba interpretare in termini di denominatore. Questa opinione è largamente accettata nel Cinquecento; ad essa aderisce tra gli altri Cristoforo Clavio, che nei suoi commenti al quinto libro definisce il denominatore di un rapporto:

Il denominatore di una qualsivoglia proporzione è quel numero, che esprime distintamente e con evidenza la relazione di una quantità all’altra.26

E discute a lungo la classificazione delle proporzioni commensurabili e i loro denominatori, per poi servirsene per interpretare la proporzione composta:

Poiché il denominatore di una qualsiasi proporzione esprime quanta sia la grandezza antecedente rispetto alla conseguente, [...] per questo si suol chiamare dai Geometri quantità della proporzione; cosicché la quantità di una certa proporzione, e il denominatore, sono sinonimi. Questa definizione dice dunque che una proporzione si compone di due o più proporzioni, quando i loro denominatori, o quantità, moltiplicate tra loro, produrranno quella proporzione, ovvero (come traduce Zamberti) produrranno la quantità, o il denominatore, di quella proporzione.27

Diversamente da Clavio, il commento di Commandino è molto stringato, limitandosi a rimandare ai commenti di Eutocio. I motivi di questa freddezza di Commandino nei riguardi dell’interpretazione tradizionale divengono evidenti nell’opuscolo di Guidobaldo. In primo luogo infatti la posizione della definizione nel sesto libro degli Elementi, prima cioè dei libri aritmetici, è segno inequivocabile della generalità della stessa, che deve quindi servire sia nel caso di rapporti tra numeri che in quello tra grandezze, dunque anche se i rapporti sono incommensurabili.

Al contrario, coloro che si rifanno al concetto di denominatore devono necessariamente restringere ai soli numeri la portata della definizione:

Tuttavia quasi tutti la interpretano in numeri, e anche se tirano in mezzo le grandezze, le considerano come numeri, e ricavano la proporzione delle estreme (come abbiamo detto in numeri) per mezzo di una moltiplicazione delle proporzioni.28

Né è più accettabile l’altra interpretazione, che vuole che la proporzione delle estreme sia composta da tutte le proporzioni intermedie, in particolare che il rapporto K:M sia composto dai rapporti K:L e L:M. Pur non negando che questa interpretazione corrisponda all’uso che viene fatto della definizione, Guidobaldo la rigetta a causa della sua mancata aderenza al testo. Infatti:

Benché ciò sia vero, non pertanto questa proporzione di tre termini è quella che domanda Euclide nella definizione. Poiché la proporzione di K ad M non si genera nel modo che la definizione prescrive. Infatti per trovare la proporzione di K ad M non si fa alcuna moltiplicazione, né dei termini, né delle proporzioni, dato che non [...] si moltiplica la proporzione di K ad L con quella di L ad M.29

Sulla base di una totale fedeltà al testo Guidobaldo esclude dunque sia la lettura in termini di denominatori, dato che essa non si addice ai rapporti incommensurabili, sia quella che vuole il rapporto degli estremi essere composto di quelli intermedi, dato che qui non interviene nessuna moltiplicazione, come è invece esplicitamente prescritto dalla definizione.

Resta naturalmente da dire cosa si debba intendere per quantità delle proporzioni, e come queste quantità si possano moltiplicare tra loro. Per questo, rifacendosi a un’interpretazione già presente in Regiomontano,30 e identificando i termini quantitas e magnitudo, Guidobaldo sostiene che quelli che si devono moltiplicare sono i termini delle proporzioni:

Dice infatti Euclide che si devono moltiplicare tra loro le quantità delle proporzioni: il che si deve interpretare nel senso che si moltiplicano i termini che costituiscono le proporzioni, i quali sono propriamente le quantità delle proporzioni. Non ha detto infatti che si dovessero moltiplicare le proporzioni, ma le quantità delle proporzioni, cioè le quantità che costituiscono le proporzioni.31

Le modalità di questa moltiplicazione sono ovvie nei numeri, e Guidobaldo si dilunga a dimostrare che si debbono moltiplicare gli antecedenti con gli antecedenti e i conseguenti con i conseguenti, e non altrimenti. Nelle grandezze invece “moltiplicare le quantità è ciò che si produce dalle stesse grandezze.”32

Ma perché questo prodotto sia possibile si deve abbandonare la nozione generica di grandezza, e limitarsi alle grandezze geometriche, e in primo luogo ai segmenti, i cui prodotti sono i rettangoli:

Sia il rettangolo E il prodotto di A e B, i quali A e B siano i lati di E [...] Similmente, sia F il prodotto di C e D [...] La proporzione tra E ed F si potrà dire composta delle proporzioni che hanno A a C e B a D. Che poi questa composizione di E si faccia tramite moltiplicazione delle quantità A e B, è chiaro dalla prima definizione del secondo libro degli Elementi. Infatti il rettangolo E è detto essere contenuto dalle rette A, B, perché dal prodotto dell’una per l’altra si forma la quantità, e l’area, cioè la superficie del rettangolo E.33

Il tentativo dunque di suggerire un’interpretazione della proporzione composta che salvi la lettera della definizione euclidea termina con una necessaria forzatura di altri passi degli Elementi; in questo caso la prima definizione del secondo libro,34 interpretata, in conformità al commento di Commandino, in termini di area, ma soprattutto la proposizione VI. 2335 che diventa equivalente ad affermare che i parallelogrammi equiangoli hanno la stessa proporzione dei rettangoli con gli stessi lati. Totalmente diversa è invece l’interpretazione di Galileo, che posto di fronte alla stessa oscura definizione fa dire a Salviati:

Osservo poi che né il medesimo Euclide, né alcun altro autore antico, si serve della stessa difinizione nel modo nel quale ell’è stata posta nel libro; onde ne seguono due inconvenienti, cioè al lettore difficultà d’intelligenza, e allo scrittore nota di superfluità.36

Il significato delle definizioni non risiede nella loro lettera ma nel modo in cui esse intervengono nelle dimostrazioni. Di conseguenza non resta che assumere quanto Guidobaldo aveva respinto:

S’immagini V.S. le due grandezze A, B dello stesso genere; avrà la grandezza A alla B una tal proporzione; e dopo concepisca esser posta fra di loro un’altra grandezza C, pur dello stesso genere: si dice che quella tal proporzione che ha la grandezza A alla B viene ad essere composta delle due proporzioni intermedie, cioè di quella che ha la A alla C e di quella che ha la C alla B. Questo è per l’appunto il senso secondo’l quale Euclide si serve della predetta definizione.37

Ma oltre a queste difficoltà, ben più importante è la riduzione, necessaria nella formulazione di Guidobaldo, di tutte le grandezze a grandezze geometriche, o addirittura a segmenti. Infatti è solo quando le grandezze in gioco siano dei segmenti che il meccanismo di composizione escogitato da Guidobaldo conduce a un risultato accettabile matematicamente, anche se difficilmente condividibile dal punto di vista, che è poi quello dichiarato dell’autore, della ricostruzione del pensiero euclideo. È ben vero che lo schema funziona ancora quando uno dei rapporti da comporre è dato come rapporto tra due superfici e l’altro tra due linee, nel qual caso la proporzione composta è tra figure solide, e Guidobaldo se ne serve per dimostrare che parallelepipedi rettangoli hanno rapporto composto delle basi e delle altezze; ma questo è il limite ultimo di validità del metodo: quando nel problema entrano in gioco delle grandezze non geometriche, e questo avverrà sempre più di frequente con l’applicazione della geometria alla filosofia naturale, l’interpretazione suggerita dall’urbinate diverrà un ingombro e una remora allo sviluppo delle idee.

Il fatto è che Guidobaldo, pur partecipe delle novità galileiane, lo è soprattutto in veste di spettatore o di “curioso,” interessato più ai principi e agli esiti della nuova filosofia, che non alla sua elaborazione. Il ruolo che si è scelto è quello di commentatore e continuatore dei classici, lungo la strada aperta da Commandino; una matematica classica che egli vede essenzialmente come un corpo di dottrine da sistemare sulla base della loro coerenza interna e della fedeltà alla lettera dei testi ora finalmente restituiti.

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Rose, P. L. (1975). The Italian Renaissance of Mathematics. Genève: Droz.

Tartaglia, N. (1569). Euclide Megarense Philosopho diligentemente reassettato per Nicolò Tartaglia. Venezia: G. Bariletto.

Viviani, V. (1690). Elementi piani e solidi d'Euclide. Firenze: C. e F. Bindi.

Note a piè pagina

Riccardi (1887-1890) registra più di 70 edizioni o ristampe prima del 1600.

Si veda (Clagett 1953).

Il codice o i codici arabi utilizzati per queste traduzioni non sono noti. Peraltro la presenza sistematica di alcuni passi chiaramente corrotti fanno pensare che le traduzioni latine, in particolare quelle più importanti di Adelardo di Bath e di Ermanno di Carinzia, siano state condotte sullo stesso codice o quanto meno su codici con la stessa origine.

Citiamo dall’edizione di (Pacioli 1509, c. 32v): “Quantitates que dicuntur continuam habere proportionalitatem: sunt quarum equemultiplicia aut eque sunt, aut eque sibi sine interruptione addunt aut minuunt.”

Ibidem: “Patet ergo similitudinem illam additionis aut diminutionis non intelligi quantum ad quantitatem excessus: sed quantum ad proportionem. Erit itaque sensus difinitionis premisse. Continua proportionalia sunt quarum omnia multiplicia equalia sunt continue proportionalia. Sed noluit ipsam diffinitionem proponere sub hac forma: quia tunc diffiniret idem per idem.”

Cfr. (Finé 1536). Noi citiamo dalla terza edizione, Parigi 1551, c. 70v: “Ait Euclides, magnitudines in eadem esse rationem, prima quidem ad secundam, et tertia ad quartam, quando primae et tertiae, hoc est antecedentium magnitudinum sumptis aeque multiplicibus, et consequentium itidem magnitudinum, secundae videlicet et quartae, aeque multiplicibus (etiam in alia quavis ab antecedentium multiplicatione) assumptis, multiplex primae ad multiplicem secundae eam servat rationem, quam multiplex tertiae ad multiplicem quartae.”

Si veda, a proposito del Finé, De Erratis Orontii Finaei Regii Mathematicarum Lutetiae Professoris [...] Petri Nonii Salaciensis Liber unus, in (Nunes 1940-1960, vol. III, 94-99).

Euclide Megarense Philosopho diligentemente reassettato per Nicolò Tartaglia (Tartaglia 1569, c. 84v). Della versione di Tartaglia, pubblicata a Venezia nel 1543, si ebbero numerose ristampe, praticamente identiche, per tutto il Cinquecento. Noi citeremo da quella di G. Bariletto, Venezia, 1569.

Euclidis Elementorum Libri XV (Clavio 1574, cc. 155v-156r): “Campanus vero atque Orontius longe aliter definitionem hanc exponunt. Dicunt enim Euclidem velle, tum demun quatuor magnitudines eandem habere proportionem, cum primae et tertiae aequemultiplicia, a secundae et quartae aequemultiplicibus, utrumque ab utroque, vel una deficiunt proportionaliter, hoc est, in eadem proportione, vel una aequales sunt, vel una excedunt proportionaliter, si ea sumantur, quae inter se respondent. Clarius, ut ait Campanus, quando earum multiplicia proportionalia sunt, id est, cum eandem proportionem habet multiplex primae ad multiplex secundae, quam multiplex tertiae ad multiplex quartae. Sed quis non videt, si ita intelligetur definitio, Euclidem idem per idem definire?”

Cfr. (Commandino 1575). La scelta della versione italiana ci dispenserà dal dare una traduzione in nota.

Cfr. (Commandino 1572). Una seconda edizione venne pubblicata, sempre a Pesaro, nel 1619. La traduzione di Commandino fu poi alla base di numerose edizioni, tra cui quella oxoniense curata da David Gregory (1703).

La traduzione del Clavio, pubblicata originariamente nel 1574, fu poi considerevolmente ampliata e conobbe varie edizioni, tra cui citiamo quelle di Roma del 1589 e del 1603, quelle di Colonia, 1591 e 1607 e di Francoforte, 1607 e 1612. Essa fu poi ristampata in (Clavio 1611-1612).

Una seconda edizione venne pubblicata a Pesaro nel 1619. Questa traduzione venne poi utilizzata da Viviani per il suo Elementi piani e solidi d’Euclide (Viviani 1690), più volte ristampato.

Cfr. (Euclide 1884, vol. II). A questa si ispirano tutte le edizioni e le traduzioni moderne, ivi compresa la più recente edizione del testo greco (Euclide 1970).

La stessa situazione si riscontra nei codici greci che ci sono pervenuti. Di conseguenza, la numerazione delle definizioni subisce un aumento di uno a partire dalla quarta nel primo caso, dall’ottava nel secondo. Ciò provoca una certa ambiguità nella designazione delle differenti definizioni da parte di vari autori, della quale si dovrà tener conto nell’individuare a quale definizione ci si riferisce.

Più spesso, quando la definizione è al quarto posto, prende la forma leggermente diversa “La proporzionalità è uguaglianza di rapporti.”

Qui e nel seguito abbiamo uniformato le traduzioni da Clavio e da Commandino, in modo da eliminare ogni elemento estraneo. I testi originali sono comunque riportati in nota.

Biblioteca Oliveriana di Pesaro, mss. 630 e 631, editi in (Giusti 1993, 179–275). Le introduzioni di ambedue i manoscritti erano state pubblicate da Arrighi (1965). Si vedano inoltre (Mamiani 1828; Libri 1838-1841; Rose 1975; Napolitani 1984). Su Guidobaldo del Monte, e in generale sulla scuola matematica urbinate, si consulti (Gamba and Montebelli 1988).

Commentarius, cit., c. 1v: “in quibus ne verbum quidem Euclidis immutabitur alterabiturve, ita ut quae declaratione indigebunt seorsum a nobis tractabuntur, ut fideli explicatori convenit.”

Ibidem: “Neque enim secundum nostram sententiam Euclidem fateri intentio nostra est. Volumus enim ut Euclides Euclides remaneat.”

Ibidem, c. 2r: “Quoniam autem multi huius quinti libri Commentarij multaeque versiones passim circumferuntur, nos tamen Federici Commandini tantum latinum contextum sequemur tamquam grecorum verborum fidelis interpretis, cum precipue ipsius verbis Euclidis nihil addiderit, vel minuerit, vel immutaverit, ordinemque omnino tam in definitionibus, quam in propositionibus servaverit.”

Commentarius, c. 15r: “Cum analogia sit proportionum similitudo, quare oportet, ut sint plures proportiones similes ad costituendam analogiam. Ita nempe ut proportionem quam habet A ad B eandem habeat E ad F, deinde quam habet B ad C eandem habeat F ad G et quam habet C ad D, eandem habeat G ad H et ita deinceps si plures fuerint. Eruntque hoc modo ABCD et EFGH in analogia, quia in EFGH similes erunt proportiones, ut in ABCD.”

Ibidem: “Hic vero observandum occurrit, propterea Euclides non dixisse, Analogiam esse proportionum aequalitatem, sed proportionum similitudinem, ut ab analogia omnes proportiones aequales esse debere excluderet, ut magnitudinibus proportionalibus contingit, quae cum in eadem sint proportione, aequales quoque semper continent proportiones inter se. Itaque analogiam definivit per proportionum similitudinem, ut aequalitas, et inaequalitas proportionum in analogia existere possint. Aequalitas quia binae binis in proportione respondere debent, ut proportio, quae est inter AB ipsi proportioni, quae est inter EF respondeat, veluti quae sunt inter BC, FG et inter CD, GH. Inaequalitas, quia contingere potest, ut proportio ipsorum AB, EF non sit eadem cum proportione ipsorum BC, FG, et huiusmodi aliae. In hoc enim sensu Euclides proportionum similitudines accipit. At vero cum analogia sit proportionum similitudo, nil prohibet, quin omnes quoque proportiones possint esse inter se aequales, ut in magnitudinibus continue proportionalibus; similitudo enim aequalitatem non excludit.”

Euclidis Elementorum Libri XV, cit., c. 71v: “Proportio ex proportionibus componi dicitur, quando proportionum quantitates inter se multiplicatae, aliquam efficiunt proportionem.”

Cfr. (Euclide 1884) .

Cfr. Euclidis Elementorum libri XV, cit., c. 151r: “Denominator cuiuslibet proportionis, dicitur numerus, qui exprimit distincte, et aperte habitudinem unius quantitatis ad alteram.”

Ibidem, c. 186v–187r: “Quoniam denominator cuiuslibet proportionis exprimit, quanta sit magnitudo antecedens ad consequentem, [...] dici solet propterea denominator a Geometris, quantitas proportionis; ut idem significet quantitas alicuius proportionis, quod denominator. Vult igitur hac definitio, proportionem aliquam ex duabus, vel pluribus proportionibus componi, quando harum denominatores, seu quantitates inter se multiplicatae effecerint illam proportionem, seu (ut vertit Zambertus) effecerint illius proportionis quantitatem, sive denominatorem.”

Ibidem: “Tamen fere omnes eam numeris interpretant, et quamvis magnitudines in medio afferant, eas tamen ac si essent numeri accipiunt, et per multiplicationem proportionum (ut in numeris diximus) extremarum proportionem ostendunt.”

Ibidem, c. 6r: “Quamvis hoc verum sit, non propterea haec proportio trium terminorum est ea quam in definitione quaerit Euclides. Quia proportio K ad M non oritur eo modo ut definitio iubet. Etenim, ut inveniatur proportio K ad M nulla prorsus fit multiplicatio, neque terminorum, neque proportionum, cum non multiplicetur proportio K ad L cum proportione L ad M.”

Cfr. (Regiomontano 1550, c. Ciiv): “Quando autem una [proportio] fuerit alteri addenda: ducimus terminum primum unius in terminum primum alterius: productusque statuitur terminum primum compositae. Item terminum secundum unius in terminum secundum alterius: et productum statuimus terminum secundum compositae ex eis.” (Quando si devono sommare due proporzioni, si moltiplichi il primo termine dell’una per il primo termine dell’altra, e il prodotto sarà il primo termine della composta. Parimenti il secondo termine della prima per il secondo termine della seconda: il prodotto sarà il secondo termine della proporzione composta). Si ricordi comunque che per Regiomontano l’affermazione precedente non è una definizione, ma un teorema, e che comunque egli si muove in un universo quasi esclusivamente numerico, e che ad esempio nel suo De Triangulis planis et sphaericis libri quinque si trovano enunciati del tipo: “Omnem proportionem datam in numeris reperiri” (Ogni proporzione assegnata si trova in numeri).

De Proportione Composita, cit., c. 7r: “Inquit enim Euclides: ut proportionum quantitates inter se multiplicentur; quod intelligendum est, ut multiplicentur termini, quibus constituuntur proportiones, qui sunt proprie quantitates proportionum. Non enim inquit, ut multiplicentur proportiones, sed quantitates proportionum. Hoc est quantitates, quae proportiones constituunt.”

Ibidem, c. 2r: “Multiplicare quantitates est id, quod fit ex ipsis magnitudinibus.”

Ibidem: “Ut sit rectangulum E id quod fit ex A, B, quae quidem A, B sint latera ipsius E [...] Deinde sit similiter F id quod fit ex C, D, quippe quae sint latera ipsius F, [...] proportio quam habet E ad F dici potest composita ex proportionibus, quas habent A ad C, et B ad D. Quod autem haec compositio ipsius E sit per multiplicationem quantitatum A, B, ex prima definitione secundi libri Elementorum patet. Nam rectangulum E dicitur contineri rectis lineis A, B, quia tamquam ex ductu alterius in alteram consurgit quantitas, et area, hoc est superficies rectanguli E.”

“Omne parallelogrammum rectangulum contineri dicitur duabus rectis lineis, quae rectum angulum constutuunt” (Ogni parallelogrammo rettangolo si dice essere contenuto dalle due rette che costituiscono l’angolo retto).

“Aequiangula parallelogramma inter se proportionem habent ex lateribus compositam” (I parallelogrammi equiangoli hanno tra loro la proporzione composta dei lati).

Ibidem, 360.